Specchietto, Freccia, Manovra
di Mike Stewart
Traduzione a cura di Giovanna Lorusso
Empowerment: cosa possono insegnare gli istruttori di guida ai fisioterapisti?
Un'inaspettata barba congelata è un'esperienza stranamente memorabile.
Appena superata la dogana e recuperato i bagagli all'aeroporto internazionale di Ottawa, la mia barba cominciò a congelarsi. Mentre aspettavo il mio autista Uber fuori dal terminal, intorno ai miei baffi si stavano già formando dei ghiaccioli canadesi.
Anche le sopracciglia stavano per ghiacciarsi, e il mio Uber accostò proprio in quel momento. Si affacciò un autista amichevole e accogliente. Mi tuffai nel retro della macchina e sentii i ghiaccioli sul labbro iniziare a sciogliersi. "Da dove vieni?" chiese. "Dal Regno Unito, vicino a Londra" ho risposto. Casa mia sembrava piuttosto tropicale in confronto. "Ahh! Benvenuto nell'inverno canadese." Rispose l'autista.
Mentre ci dirigevamo verso il mio hotel, mi chiese cosa facessi a Ottawa con questo tempaccio. “Sono un fisioterapista. Sono qui per tenere un corso ad altri fisioterapisti." Mentre si voltava a guardarmi, notai uno strano senso di piacere impresso sul suo volto. Con un ampio sorriso raggiante disse: "Fantastico! Anch'io vado dal fisioterapista in questo periodo. È adorabile!"
Adorabile? Cosa diavolo voleva intendere? Dopo quasi trent'anni di esperienza clinica posso dire in tutta onestà che sono rari i clienti così soddisfatti. Dovevo saperne di più. Cos'era questo trattamento miracoloso?
Mentre mi accompagnava attraverso la sua beata esperienza fisioterapica (l'odore dell'olio da massaggio, la sensazione dei suoi nodi muscolari che si scioglievano, il suono delle balene in sottofondo) iniziai a sentire che le mie antenne evidence-based si rizzavano in allerta. "Quindi, è questo il tipo di fisioterapia che insegnerai qui in Canada?" chiese. Oh, accidenti! Come potevo rispondergli? Non volevo passare per un fisioterapista che scredita i colleghi. Poi mi è venuta un'idea.
"Beh, ci sono diversi modi di pensare alla fisioterapia." Dissi, mentre mi mordevo il labbro congelato, cercando di non fare commenti sulla musica delle balene. Gli chiesi: "Ti dispiace se facciamo un esperimento?" “Volentieri. Spara." disse. "Va bene. Ecco qua. Ho tre domande per te..."
"Da quanto tempo sai guidare?"
"Ehm, poco più di 20 anni. In realtà, sono passati 24 anni da quando ho superato l'esame di guida ".
"Bene! Quante lezioni hai ricevuto a scuola guida?"
"Hmmm. Non ricordo esattamente, circa 15 lezioni."
"Va bene. Ultima domanda. Quante volte hai avuto bisogno dell'istruttore di guida dopo aver superato l'esame?"
“Mai. Non ho più bisogno dell'istruttore di guida. Ho imparato a guidare e sono capace di farlo."
Forse era il freddo. Forse era il jet lag. Qualunque cosa fosse, mi sembrava di aver trovato un modo per comunicare una differenza fondamentale tra l'approccio fisioterapico "adorabile", se non alquanto passivo, che il mio autista aveva sperimentato, e l'approccio attivo e stimolante che volevo insegnare io, in questa visita glaciale in Canada.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità [1] definisce l'empowerment come "un processo attraverso il quale le persone acquisiscono un maggiore controllo sulle decisioni e sulle azioni che riguardano la loro salute, ottenibile attraverso lo sviluppo di competenze, l'accesso a informazioni e risorse, e la gestione di quei fattori che influenzano la loro salute e il loro benessere".
Ho capito qualcosa in quel momento. Forse i fisioterapisti potrebbero imparare qualcosa di prezioso dagli istruttori di guida? Gli istruttori di guida sono i Maestri Jedi dell'empowerment. Danno letteralmente il controllo ai loro studenti. Se confrontiamo questo con l'evidenza sull'empowerment dei pazienti, iniziamo a notare una preoccupante discrepanza tra l'empowerment che i pazienti desiderano, e il disempowerment che i pazienti, troppo spesso, ricevono.
Dopo diversi anni di interviste a medici, ricercatori e persone che vivono con il dolore, la giornalista medica Judy Foreman [2] ha concluso che "c'è una spaventosa discrepanza tra ciò di cui hanno bisogno le persone con dolore, e ciò che sanno i professionisti sanitari".
Per comprendere una delle possibili cause di questo divario, dobbiamo prima riflettere sulla formazione dei clinici. Briggs et al [3] hanno scoperto che in molte discipline sanitarie, le competenze di comunicazione e di educazione del paziente rappresentavano meno dell'1% delle ore del corso di laurea nel Regno Unito. Questo implica che il restante 99% è dedicato all'apprendimento dell'anatomia, della fisiologia, della patologia e della biomeccanica.
Queste ultime sono, ovviamente, importanti da imparare per qualsiasi studente in ambito sanitario. Tuttavia, gli istruttori di guida non concentrano il 99% della loro formazione sull'intricato funzionamento del motore, delle sospensioni e della cinghia di trasmissione. Comprendono invece l'importanza di guidare le persone verso l'auto-efficacia.
Negli anni successivi alla mia esperienza con il tassista canadese, ho utilizzato queste stesse tre domande con i pazienti. L'ho trovato un modo coinvolgente, stimolante e non giudicante per valutare quanto le persone siano pronte a partecipare attivamente alla loro cura.
Nel porre queste domande ho notato una serie di reazioni. Alcuni annuiranno educatamente prima di chiedere quando inizierà il massaggio. Tuttavia, molti torneranno in studio avendo riflettuto su come questa idea si applica alle loro esperienze terapeutiche. Alcuni raccontano di aver sprecato tempo, denaro ed energia, bloccati nel sedile del passeggero. Alcuni hanno affrontato un percorso riabilitativo senza mai lasciare il sedile posteriore. Altri si sentono come intrappolati nel bagagliaio della riabilitazione. Tutti sono stati portati in giro in una condizione che l'educatore Daloz[4] ha chiamato "stasi".
La stasi si riferisce a un'esperienza di apprendimento in cui lo studente è poco sfidato, e poco supportato. Dal sedile del passeggero, dal sedile posteriore o dal bagagliaio della riabilitazione non ci può essere alcun impulso allo sviluppo. Non succede niente di che. Le cose rimangono come sono. Questi racconti di frustrazione e disempowerment purtroppo sono comuni nella pratica.[5] Ma si riflettono anche in tutta la ricerca. [6,7] Il seguente estratto illustra questo punto:
“Mi ha detto che il momento migliore della sua vita era suonare l'organo per il coro della sua chiesa. Viveva per le prove bisettimanali e le esibizioni domenicali. Ora, con il dolore che le immobilizzava il gomito, non riusciva più a usare la tastiera. Le sue giornate non contenevano nulla che non vedesse l'ora di vivere. Il dolore costante l'aveva derubata di ogni speranza. La vita sembrava vuota di tutto tranne che del dolore. Quando le ho chiesto se lo avesse spiegato al personale della clinica, ha risposto che non gliel'avevano chiesto. La sua storia medica, come ci si potrebbe aspettare, si legge esattamente come la storia di un gomito."[8]
Un paio di cose mi hanno sempre colpito di questa affermazione. 1) La completa disconnessione tra i valori del paziente e il focus biomeccanico del clinico e 2) L'assunzione errata che spesso incontro a questo proposito nei miei corsi: i fisioterapisti scrollano regolarmente le spalle e sostengono che "questa mancanza di empowerment non è più un dato attuale. Le cose sono sicuramente andate avanti dal 1991. Giusto?"
Esploriamo questo pregiudizio pericolosamente nascosto, concentrandoci su evidenze più contemporanee. Hickmann et al[9] hanno scoperto che i medici devono promuovere un coinvolgimento attivo e personalizzato dei pazienti se vogliono aiutarli a diventare partner attivi nella loro salute. Padfield et al[10] suggeriscono che esiste un dilemma intrinseco in molte sedute terapeutiche, dove clinici e pazienti sono alla ricerca di obiettivi separati con significati separati. Jones et al[11] hanno scoperto che il principale ostacolo a una relazione terapeutica più collaborativa e stimolante, tramite una comunicazione efficace, sembra essere il desiderio irrefrenabile del clinico di trattare e consigliare il paziente.
Questa scoperta è alquanto ironica: in pratica, più i clinici cercano di risolvere il problema, meno è probabile che offrano empowerment alle persone. Allo stesso modo, più l'istruttore di guida insiste nel mantenere una presa salda sul volante, meno lo studente impara dal sedile del passeggero.
Tutti abbiamo dei punti ciechi. Non impariamo dall'esperienza. Impariamo riflettendo sulle nostre esperienze. In quest'ottica, il seguente esercizio di riflessione offre l'opportunità di esaminare quanto controllo siamo disposti a offrire ai pazienti.
Esercizio di riflessione:
Leggete e riflettete sulle seguenti affermazioni. Cosa ne pensate? Riconoscete questi razionali nella vostra pratica? Avete sentito idee simili tra i clinici? Cosa notate delle parole utilizzate nelle affermazioni?
"Devo dire che non chiedo particolarmente al paziente cosa vuole. Penso che dandogli così tanta scelta, spesso possa confondersi. È quasi troppo per loro." Medico
"Devo ammettere che ad ogni paziente che ricevo, darò praticamente sempre un esercizio. Non ci penso troppo, è solo una parte del pacchetto che mi piace dare." Fisioterapista
"Nel complesso, la valutazione fisica svolge un ruolo molto importante nella scelta degli esercizi. Tendo a fare ciò che penso sia la cosa migliore." Fisioterapista
Adattato da [12]
Stenner et al[12] hanno utilizzato interviste semi-strutturate per esplorare le modalità di collaborazione tra fisioterapisti e pazienti. I risultati hanno rivelato una mancanza di pratica centrata sul paziente, dove i fisioterapisti partecipanti avevano la presunzione di sapere cosa fosse meglio per i pazienti.
La cosa, forse, più sorprendente, è che la parola più usata è "io". La comunicazione durante le sedute fisioterapiche è risultata essere prevalentemente guidata dal terapista e paternalistica, dove i pazienti non si sentono coinvolti[6]. Questo approccio alla comunicazione è in contrasto con le best practice[13]. Inoltre, Scott-Dempster et al[14] hanno utilizzato l'analisi fenomenologica interpretativa (IPA) per esplorare il significato che i fisioterapisti davano alla prescrizione di activity pacing. Hanno concluso che i fisioterapisti devono "passare da una mentalità di correzione a una mentalità di condivisione".
Dopo anni passati a condurre i pazienti dove io volevo portarli, doveva cambiare qualcosa nella mia pratica.
Il mio Master in educazione è stato il catalizzatore di questo cambiamento: mi ha aiutato a realizzare che stavo facendo del mio meglio per coinvolgere ed educare le persone, ma senza le conoscenze e le competenze necessarie per ottimizzare questo empowerment.
Facciamo un esperimento. Vi faccio 2 domande:
Alzate la mano se nella vostra pratica clinica insegnate quotidianamente alle persone. (Non intendo l'immersione nell'educazione alle neuroscienze del dolore. Potrebbe essere insegnare come fare un esercizio o come usare un bastone da passeggio).
Ora alzate la mano se vi hanno insegnato come insegnare.
Avendo passato dieci anni a porre queste domande ai clinici di tutto il mondo, posso indovinare che la maggior parte di voi abbia alzato la mano solo per la domanda 1?
Dreeben[15] sostiene che l'educazione dei pazienti costituisce "una componente significativa dell'assistenza sanitaria moderna." Tuttavia, nonostante ciò, le competenze educative sono semplicemente date per scontato in ambito sanitario, dove molti clinici hanno strumenti limitati. [16,17]
Se i professionisti sanitari sono insegnanti senza competenze didattiche, questo implica un dilemma fondamentale. Senza una comprensione delle complessità dell'educazione, i clinici probabilmente non saranno in grado di offire empowerment ai loro pazienti. Senza capacità di insegnamento è improbabile riuscire a individuare il delicato equilibrio dinamico che esiste tra quanto sfidare le persone, e quanto sostenerle.[4] Allo stesso modo, non siamo in grado di capire le ragioni per cui i pazienti a volte si bloccano, nel tentativo di imparare qualcosa di nuovo. [18]
Educazione deriva dal latino "educare", che significa "estrarre ciò che si trova all'interno". L'empowerment inizia capendo che le risposte ai problemi delle persone spesso risiedono nelle loro parole, non nelle nostre. Oppure, come direbbe Socrate: "Per trovare te stesso, pensa a te stesso".
Quando impariamo a guidare, ci viene insegnato un chiaro processo in tre fasi da usare in qualsiasi viaggio. Il mantra degli istruttori di guida che garantisce la sicurezza dei propri allievi è: specchietto - freccia - manovra.
Un equivalente utile nell'assistenza sanitaria potrebbe essere: ascoltare - scoprire cosa vogliono le persone - guidarle.
Se i fisioterapisti devono offrire empowerment a persone vulnerabili che vivono con il dolore, dobbiamo prima essere pronti a perdere parte del nostro potere. Affinché il potere del paziente aumenti, il potere del clinico deve diminuire. Come gli istruttori di guida, dobbiamo imparare ad abbandonare il controllo, e consegnare il volante al paziente.
Mike Stewart è autore dell’e-learning tradotto in italiano “Know Pain: una guida pratica per il trattamento del dolore persistente”.
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